Ieri sera sono andata a cena da mio fratello (Tato per chi non lo conoscesse). Erano stati invitati tra gli altri Magda, Alessio, ed il mio caro amico – nonché ex storico – Jean Paul. Alla fine del pasto luculliano (comprensivo dei soufflè alla nutella!) tra vari discorsi, caffè ed ammazza caffè, l’attenzione mia, di Alessio e Jean Paul è stata attratta da un tema, ahimè, scottante: la musica.
Dopo aver constatato che ognuno di noi alle spalle aveva un passato intrecciato su più fronti con sale prova, strumenti e quant’altro, spezzoni di canzoni hanno cominciato a rimbalzare da una parte all’altra del tavolo, accompagnate da tragici sforzi di memoria per recuperare nomi di gruppi persi ormai nella notte dei tempi e di titoli di canzoni che hanno marchiato a fuoco quel periodo che tanti definiscono come il più spensierato ma che io continuo a chiamare “periodo contro”: l’adolescenza.
Il tono della conversazione per quanto appassionato potesse essere aveva come sottofondo una costante nota di bordone (tanto per rimanere in tema), la nota della malinconia.
Perchè?
Perché determinate cose sembrano sottolineare con serena crudezza che il tempo passa senza guardare in faccia nessuno? O perché in quel tempo passato si riconosce una parte di sé che nel presente non trova più modo di esprimersi e quindi di manifestarsi? La seconda che ho detto!
Quando mi trovo a parlare di musica insieme a persone che come me l’hanno vissuta sulla propria pelle non solo come una passione ma anche come un sogno, mi accorgo che si giunge sempre alla stessa conclusione: è tutto cambiato.
Il “sistema musica” è cambiato, cambiato è il modo di ascoltarla, così come cambiato è il modo di farla e di sentirla. Prima i livelli di lettura di un brano erano molteplici. La prima cosa che attirava l’attenzione era chiaramente la melodia, ma attorno a questa gravitavano altri mondi, il testo, la costruzione armonica, gli incastri ritmici, le parti strumentali. Tutto questo faceva dell’ascolto una continua scoperta in evoluzione, un viaggio durante il quale ci si perdeva, riuscendo ad entrare in una sorta di comunione con il gruppo o l’artista che aveva composto il brano.
Ora posso dire con certezza che questo non accade più, o se non altro che poche sono le persone che riescono a vivere l’esperienza dell’ascolto come la si viveva prima…
I vari livelli di cui parlavo sopra si sono condensati in un unico strato sonoro che altro non cerca che un impatto immediato, forte che ben poco lascia alla scoperta di qualcosa di diverso. Appiattimento, omologazione, semplificazione del linguaggio musicale portato all’ennesima potenza …gruppi che appaiono e scompaiono nel giro di una stagione, personalità prive di talento e carisma costruite a tavolino, brani svuotati di ogni contenuto, musica non suonata… musica non musica. Tutto questo porta le persone come me a rimanere ancorate ad un passato musicale che sembra talmente distante e diverso dall’attuale da non riuscire a riconoscere in questo neanche le tracce sfumate di quelle emozioni, di quei sentimenti di quei singulti che si avevano quando, tornati a casa, ci si fiondava ad accendere lo stereo e, testi alla mano, si cercava di penetrare il senso di ciò che si stava ascoltando…
Magari questa è solo una fase, un momento di non ritorno in cui toccato il fondo si comincerà a risalire. I musicisti allora non saranno più mercenari assoldati per combattere la battaglia della classifica, nascosti all’ombra della star del giorno, ma torneranno ad essere persone in grado di far risuonare con i loro strumenti e le loro voci quelle corde che, ora ancorate con forza al passato, si scioglieranno per riscoprire un nuovo modo di vibrare.
Io intanto continuo a cercare i segni che mi facciano intendere che forse,bma forse, non è tutto finito…